Il fotografo e i piccioni

A. Porry Pastorel. Seggiolai in bicicletta a Piazza di Pietra. Roma, 1931 . Foto Museo di Roma
A. Porry Pastorel. Seggiolai in bicicletta a Piazza di Pietra. Roma, 1931 . Foto Museo di Roma

Come mi piace imparare nuove cose, conoscere nuove storie e nuove persone: quanti di voi hanno per esempio mai sentito parlare di Adolfo Porry-Pastorel? Pochi, vero? Lui fu il primo fotoreporter della storia del giornalismo italiano, il primo in pratica a comprendere il vecchio detto secondo cui un'immagine vale più di mille parole. Comincia a scattare foto all'inizio del Novecento, è stato corteggiato (ma anche guardato con sospetto) dal regime, documenta con lo stesso sguardo disincantato la visita di Hitler in Italia e il ritrovamento del cadavere di Matteotti, utilizza addirittura i piccioni viaggiatori per far arrivare prima i negativi da sviluppare, sa utilizzare la pubblicità ed è lui a suggerire a Comencini e De Sica di girare Pane amore e fantasia a Castel San Pietro Romano, il paese dove decide di trasferirsi dopo la morte del figlio, fotografo anche lui, mandato in Russia a documentare la guerra e mai più tornato. Vania Colasanti, giornalista che a Porry-Pastorel ha dedicato un libro, lo descrive così: "il cappello a fiori, la camicia bianca e il suo immancabile papillon. Alto, magro magro, l’aria scanzonata, lo humour inglese su un accento romanesco che gli permetteva tutto, anche le parolacce più irriverenti" e io allora mi domando, com'è possibile non essere affascinati da un tipo così? Se lo siete anche voi, il Museo di Roma gli dedica una bella retrospettiva, in calendario fino al 24 ottobre.