Daniele e Michelangelo

Osservarla dal basso, sono buoni tutti. Darle addirittura le spalle, sedendo sugli scalini più celebri di Roma, ancora più facile. Ma fare uno scatto dalla Barcaccia, e arrivare in cima alla scalinata di piazza di Spagna fingendo con grande nonchalance di riuscire ancora a respirare, beh, è cosa da professionisti. Ma la salita (no, arrivare da via Sistina non vale) ripaga sempre: sia che ci si fermi in contemplazione - a riprender fiato, in realtà - per guardare il panorama da lì, sia che ci si spinga verso la meravigliosa villa Medici, sia che si decida di entrare per l'ennesima volta nella chiesa di Trinità dei Monti, che non scontenta mai. Per dirne una, tutti qui fanno riferimento alla Deposizione di Daniele da Volterra (di certo uno dei capolavori del pittore) ma pochi si soffermano invece sull'altra sua opera, quell'Assunzione della cappella della Rovere, realizzata su commissione di Lucrezia Gara della Rovere, nipote di papa Giulio II. Ve lo confesso: anche io sono passata sempre distrattamente di qui, ma stavolta qualcuno ha attirato la mia attenzione col suo sguardo severo, il mantello rosa pallido (che peccato che gli uomini abbiano abbandonato certi colori, non trovate?) e il dito ad indicare l'Assunzione di Maria. Ecco, in questo caso, un po' come lo stolto del proverbio, non ho guardato la luna ma proprio il dito, anzi il suo proprietario. Che poi altri non è che Michelangelo nelle vesti di apostolo, l'unico che guarda verso di noi come a volerci dire che quel Daniele è ben più del Braghettone che siamo abituati a conoscere.