Diario romano

Un Emile Zola decisamente poco convinto ci descrive la cerimonia di Ognissanti nella basilica di san Pietro...

 

San Pietro, il giorno di Ognissanti. Cerimonia nella cappella del Coro. Dalla grande navata non si sentono nemmeno i canti. I cantanti della cappella Sistina, l'ammirevole voce femminile. La cappella inondata di sole, tendoni rossi insanguinati dai raggi. E la mia impressione dell'immensa navata, le braccia del transetto e dell'abside grandi come una delle nostre comuni chiese. Un salone di gala gigante, una sala dei passi perduti, un palazzo di ricevimento ciclopico. Le lastre di marmo sul pavimento, le colonne rivestite di marmo colorato, le volte con i cassettoni dorati, le tombe di marmo con le loro statue di marmo. Museo freddo e grandioso. I mosaici delle volte, tutti gli affreschi delle volte, pagani, romani, di una maestà smisurata e trionfale. Niente vetrate alle finestre. Ovunque finestre quadrate, dai vetri quadrati, da cui piove una luce bianca. Quelle di sinistra, colpite in pieno dal sole, lasciano ricadere grandi quadrati luminosi, che gettano proiezioni chiare sullo splendore del marmo. La polvere danza, gli ampi raggi attraversano la larghezza della navata inondandola di gloria. E non una sedia, l'immensa distesa di marmo vuota, deserta all'infinito. Un pavimento da museo, da palazzo. Nessun angolo per raccogliersi, non un angolino d'ombra in cui inginocchiarsi (le nostre cattedrali romane e gotiche). La luce cruda rischiara tutto. È un tempio pagano, elevato al dio della luce e della pompa. L'anima, con i suoi misteri, è assente. L'atavismo, la fede piombano sul colosso di gala. La statua di bronzo di san Pietro: alcuni ne strofinano l'alluce, lo baciano, ci posano la fronte, lo baciano di nuovo e lo puliscono