Le idi di William

Visto che oggi siamo alle idi di marzo il poeta della domenica è William Shakespeare ed il suo indimenticabile Giulio Cesare. Qui vi riporto solo una parte dell'orazione funebre che pronuncia Antonio nel foro romano, col corpo di Cesare accanto a sé...per ragioni di spazio ho tagliato, e tagliato molto...insomma, leggetevi la tragedia intera, non ve ne pentirete.


Entrano Antonio ed altri, col corpo di Cesare. 

"[...]2° Citt. Silenzio! Udiamo ciò che Antonio può dire. 

Ant. O voi gentili Romani... 

I Citt. Silenzio, oh! Udiamolo. 

Ant. Amici, Romani, compatrioti, prestatemi orecchio; io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo. Il male che gli uomini fanno sopravvive loro; il bene è spesso sepolto con le loro ossa; e così sia di Cesare. Il nobile Bruto v’ha detto che Cesare era ambizioso: se così era, fu un ben grave difetto: e gravemente Cesare ne ha pagato il fio. Qui, col permesso di Bruto e degli altri – ché Bruto è uomo d’onore; così sono tutti, tutti uomini d’onore – io vengo a parlare al funerale di Cesare. Egli fu mio amico, fedele e giusto verso di me: ma Bruto dice che fu ambizioso; e Bruto è uomo d’onore. Molti prigionieri egli ha riportato a Roma, il prezzo del cui riscatto ha riempito il pubblico tesoro: sembrò questo atto ambizioso in Cesare? Quando i poveri hanno pianto, Cesare ha lacrimato: l’ambizione dovrebbe essere fatta di più rude stoffa; eppure Bruto dice ch’egli fu ambizioso; e Bruto è uomo d’onore. Tutti vedeste come al Lupercale tre volte gli presentai una corona di re ch’egli tre volte rifiutò: fu questo atto di ambizione? Eppure Bruto dice ch’egli fu ambizioso; e, invero, Bruto è uomo d’onore. Non parlo, no, per smentire ciò che Bruto disse, ma qui io sono per dire ciò che io so. Tutti lo amaste una volta, né senza ragione: qual ragione vi trattiene dunque dal piangerlo? O senno, tu sei fuggito tra gli animali bruti e gli uomini hanno perduto la ragione. Scusatemi; il mio cuore giace là nella bara con Cesare e debbo tacere sinché non ritorni a me. [...] Pur ieri la parola di Cesare avrebbe potuto opporsi al mondo intero: ora egli giace là, e non v’è alcuno, per quanto basso, che gli renda onore. O signori, se io fossi disposto ad eccitarvi il cuore e la mente alla ribellione ed al furore, farei un torto a Bruto e un torto a Cassio, i quali, lo sapete tutti, sono uomini d’onore: e non voglio far loro torto: preferisco piuttosto far torto al defunto, far torto a me stesso e a voi, che far torto a sì onorata gente. Ma qui è una pergamena col sigillo di Cesare – l’ho trovata nel suo studio – è il suo testamento: che i popolani odano soltanto questo testamento, che, perdonatemi, io non intendo di leggere, e andrebbero a baciar le ferite del morto Cesare, ed immergerebbero i loro lini nel sacro sangue di lui; anzi, chiederebbero un capello per ricordo, e morendo, ne farebbero menzione nel loro testamento, lasciandolo, ricco legato, alla prole. 

1° Citt. Vogliamo udire il testamento: leggetelo, Marc’Antonio. 

I Citt. Il testamento, il testamento! Vogliamo udire il testamento di Cesare. 

Ant. Pazienza, gentili amici, non debbo leggerlo; non è bene che voi sappiate quanto Cesare vi amò. Non siete di legno, non siete di pietra, ma uomini, e essendo uomini, e udendo il testamento di Cesare, esso v’infiammerebbe, vi farebbe impazzire: è bene non sappiate che siete i suoi eredi; ché, se lo sapeste, oh, che ne seguirebbe!"