All'assalto!

Chissà se l’alba del 6 maggio 1527 il papa avrà avuto sentore di quello che stava succedendo all’ombra di san Pietro. Là, acquattati tra la nebbia, le truppe di Lanzichenecchi aspettavano il momento buono per agire, entrare in città e puntare direttamente ai palazzi Vaticani. Certo, per tutta la notte precedente a quell’alba tragica la campana del Campidoglio aveva suonato senza sosta per chiamare a raccolta i difensori sulle mura; tuttavia nessuno, nemmeno papa Clemente VII, pensava che quelle truppe avrebbero osato quello che nemmeno Attila si era azzardato a fare, violando la culla del cattolicesimo. Dall’altro punto di vista, da quello dei Lanzichenecchi, era in realtà rimasto ben poco di cattolico in una città decadente e dedita più ai piaceri terreni che alla contemplazione del divino. Anzi, una punizione era agli occhi di tutti quanto mai auspicabile. Ed ecco allora che, dalle parti di porta san Pancrazio, dove le difese erano carenti, l’esercito lancia il primo attacco, respinto senza troppa convinzione dalle truppe papali. Ci vuole poco per fiaccare la resistenza dei romani, e i Lanzichenecchi irrompono in città, puntando subito verso il Vaticano e verso il papa, simbolo di ogni male. Leggenda vuole che Clemente VII fosse impegnato in preghiera, e che se si fosse attardato quel tanto che bastava per finire la sua Ave Maria sarebbe stato catturato. Ma la Provvidenza, o qualche componente della Curia più smaliziato del papa, lo spinse per il passetto, facendolo correre fino a Castel sant’Angelo, dove rimarrà assediato per qualche mese. In quel periodo i Lanzichenecchi mettono a ferro e fuoco la città, razziano, distruggono, rapiscono, chiedono riscatti, profanano…la più lucida immagine del sacco la dà forse uno dei capi di quell’esercito, che scrive: “Il 6 maggio abbiamo preso d’assalto Roma, ucciso seimila uomini, saccheggiato le case, portato via quello che trovavamo nelle chiese e dappertutto, e finalmente incendiato una buona parte della città. Strana vita davvero! Abbiamo lacerato, distrutto gli atti dei copisti, i registri, le lettere, i documenti della Curia. Il papa è fuggito in castel sant’Angelo e con la sua guardia del corpo, cardinali, vescovi, abitanti di Roma e membri della Curia sfuggiti al massacro. L’abbiamo assediato per tre settimane fino a che, spinto dalla fame, dovette consegnare il castello. Quatto capitani spagnoli […] e un segretario imperiale, sono stati delegati dal principe di Orange per la consegna del castello. Il che fu fatto. Là abbiamo trovato il papa Clemente con dodici cardinali in un ripostiglio. Il papa ha dovuto firmare la convenzione di resa che gli ha letto il segretario. Tutti si lamentavano miseramente e piangevano molto. Noi siamo diventati tutti ricchi”.