Fine di un eretico impenitente

“Giovedì mattina in Campo di Fiore fu abbruggiato vivo quello scelerato di frate Domenichino da Nola, di che si scrisse con le passate: heretico ostinatissimo, et havendo di suo capriccio formati diversi dogmi contro nostra fede, et in particolare contro la Santissima Vergine et Santi, volse ostinatamente morir in quelli lo scelerato; et diceva che moriva martire e volentieri, et che se ne sarebbe la sua anima ascesa con quel fumo in paradiso. Ma hora egli se ne avede se diceva la verità”.

Bastano le poche righe di un Avviso di Roma per raccontare il rogo di Giordano Bruno, avvenuto a Campo de’ Fiori il 17 febbraio del 1600, nel pieno dell’Anno Santo indetto da Clemente VIII Aldobrandini (che tanto clemente non doveva essere, se pochi mesi prima aveva fatto torturare e condannare a morte Beatrice Cenci assieme a suo fratello ed alla matrigna…). Giordano Bruno, frate domenicano e filosofo conosciuto in tutta l’Europa dell’epoca, era stato accusato e riconosciuto colpevole di eresia per aver sostenuto che Dio è intelletto e ordinatore di tutto ciò che è in Natura, ma che allo stesso tempo si ritrova in ogni elemento del creato. Processato e condannato, rifiutò fino all’ultimo di rinnegare le proprie convinzioni da “eretico impenitente”. Rimasta celebre la frase che pronunciò al momento del giudizio dei cardinali dell'Inquisizione: "forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla". 

Più di 200 anni dopo, con la Chiesa che nutriva ancora parecchi dubbi sull'ortodossia delle teorie del frate (una piccola apertura c'è stata solo nel 2000), a ricordare il rogo fu inaugurata, nel giugno del 1889, la statua che ancora oggi se ne sta un po’ pensosa proprio in mezzo alla piazza dove venne mandato a morte.